In sede di conversione del decreto “Cura Italia”, il Legislatore ha aggiunto un tassello importante per la tutela – occupazionale e salariale – dei lavoratori assunti con contratto a termine.
Di norma, l’art. 20, co. 1, c) del D. Lgs. n. 81/2015 non ammette contratti a termine “presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato”.
In tempo di coronavirus, tale disposizione risulta particolarmente pregiudizievole per i lavoratori precari, ai quali preclude sia la possibilità di proroga o rinnovo del contratto in scadenza, che, di conseguenza, l’accesso agli ammortizzatori sociali offerti dal decreto “Cura Italia”.
Sul punto è pertanto intervenuta la Legge n. 27/2020, con l’introduzione dell’art. 19 bis:
“Considerata l’emergenza epidemiologica da Covid – 19, ai datori di lavoro che accedono agli ammortizzatori sociali di cui agli articoli da 19 a 22 del presente decreto [cioè, D. L. n. 18/2020], nei termini ivi indicati, è consentita la possibilità, in deroga alle previsioni di cui agli articoli 20, co. 1, lett. c), 21, co. 2 e 32, co. 1, lett. c) del D. Lgs. n. 81/2015, di procedere, nel medesimo periodo, alla proroga o al rinnovo dei contratti a tempo determinato, anche a scopo di somministrazione”.
Ciò significa che il datore di lavoro potrà mantenere in vita i rapporti lavorativi prorogando o rinnovando i contratti in scadenza, anche se a causa del virus e delle relative misure di contrasto, abbia dovuto ricorrere ad uno degli interventi di integrazione salariale del decreto “Cura Italia”.
Attenzione, però.
La ratio sottesa alla disposizione in esame impone innanzitutto di restringere la portata applicativa della deroga ai lavoratori già in forza dell’azienda, con l’esclusione quindi di nuove assunzioni per mezzo di contratti a termine.
Peraltro, è doveroso precisare che il rinnovo, o la proroga del contratto oltrepassati i 12 mesi, dovranno comunque essere accompagnati da una delle causali prescritte dalla legge e riconducibili, in base al c. d. decreto Dignità a:
esigenze sostitutive di altri lavoratori;
esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività;
esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi, non programmabili.
Restano, inoltre, fermi i vincoli non espressamente derogati dalla norma in commento e, in particolare, l’impossibilità di elevare la durata del rapporto di lavoro oltre il tetto massimo dei 24 mesi, a meno che i contratti collettivi applicabili non dispongano diversamente.
Tutt’al più, per quanto attiene al rinnovo del contratto, l’art. 19 bis consente al datore di lavoro di derogare al limite di cui all’art. 21, co. 2 del D. Lgs. n. 81/2015, con il momentaneo superamento, quindi, della necessaria cesura temporale tra un contratto e l’altro.
Si segnala, infine, che le deroghe sopra esposte valgono anche per il contratto di somministrazione di lavoro, che di norma non può essere (ri)attivato, qualora nell’unità produttiva sia in corso una sospensione o riduzione dell’attività in regime di cassa integrazione guadagni, con riferimento alle medesime mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione di lavoro.
l presente contenuto ha valore puramente indicativo e non costituisce alcuna consulenza.
Articolo di: Dott.ssa Lucia Bellò